ANPDI Nord Friuli

Il Leone Paracadutista Mario COMINOTTO

Scudetto Divisionele Folgore

Giovane soldato classe 1921, si arruola nel 1940 e superato il corso di paracadutismo presso la scuola di Tarquinia, nel mese di aprile del 1941 venne chiamato a conquistare l'isola di Cefalonia.
Incaricato dell'operazione fu il II battaglione, che trasferì a Lecce due delle sue compagnie, al comando dei Maggiore Zanninovich.
Il II Btg. dà vita assieme al IV e IX Btg., al 187º Reggimento Paracadutisti.
Il 30 aprile 1941, dall'aeroporto di Galatina, decollarono 3 aerei SM-82:
Il lancio avvenne nel primo pomeriggio nella piana di Argostoli e l'azione riuscì senza che fosse sparato un solo colpo. 
Disarmato il presidio locale, composto da alcune centinaia di gendarmi greci, il gìorno successivo aliquote di paracadutisti, requisiti alcuni barchini, sbarcarono nelle isole di Zante e Itaca, evitando che le medesime cadessero sotto il controllo tedesco.
Viene quindi destinato, con il IV Battaglione della Divisione Folgore nelle sabbie di El Alamein, assieme ai suoi commilitoni della 12 cp. patisce la sete e gli stenti.
Dopo la famosa battaglia riesce in modo rocambolesco a sfuggire agli Alleati e affronta un lungo ed avventuroso viaggio cercando di raggiungere il punto dove gli  italiani si stavano riorganizzando, ma in seguito alle conseguenze delle ferite riportate, subirà anche l’amputazione di una gamba appena rientrato in Patria.

Da buon paracadutista, Mario non si perde certo d’animo e conduce una vita assolutamente normale, sposa la sua compaesana Giuditta Florissi e insieme si trasferiscono a Torino negli anni ’50, dove Mario lavorerà come caporeparto nella Lancia.

Con la pensione rientrano nel loro paese natale a Rive d’Arcano, vicini al figlio Franco e dei suoi famigliari.
Grande amico del paracadutista Mar.M. CECCON Angelo di Spilimbergo, Mario per anni ha ricoperto anche la carica di presidente di sezione dell’ Ass. Naz. Reduci e Combattenti di S. Daniele del Friuli.

91° Compleanno del Leone Mario Cominotto

21/01/12 La sezione Nord Friuli festeggia il 91° compleanno del Leone della Folgore Mario Cominotto

 Sabato 10 marzo 2012 una delegazione della Sezione ANPDI Paracadutisti Nord Friuli è tornata dal Leone Mario Cominotto per consegnare la spilla della Divisione Folgore offerta dal sito CongedatiFolgore nell'ambito delle iniziative legate al Progetto El Alamein.

 

Consegna Spilla Leone della Folgore

 

Il sito Congedati Folgore ha fatto coniare 50 spille in argento massiccio placcato in oro e successivamente smaltate, che riproducono il gagliardetto divisionale della Folgore esposto al SacrarIo di El Alamein, nel Museo che è stato allestito nei pressi del cortile d'onore, invitando poi le sezioni ANPDI di tutta Italia a richiederle per donarle ai Leoni della Folgore presenti nelle loro zone.

 

Il par. Alberto Toso, che esattamente due anni aveva partecipato al Progetto El Alamein con la Squadra Munassib, portando il nostro labaro tra le sabbie di Qaret El Himeimat, Naqb Rala e al Sacrario di Quota 33, ha potuto raccontare e condividere con il Leone l'intensa emozione vissuta in quell'esperienza.

 

Con noi anche il Presidente della Sezione Medio Friuli par. Tarcisio Sperotto, presente anche per suggellare un simbolico passaggio delle consegne tra le nostre sezioni e al quale rivolgiamo un fraterno e cameratesco ringraziamento.

Infatti il "Ragazzo della Folgore" Mario Cominotto, associato alla sezione Medio Friuli fin dal 1985, sarà invece iscritto nella lui più vicina Sezione Nord Friuli; sapremo essere degni di questo onore!

 

Consegna Spilla Leone della Folgore

Il 9 luglio del 2012 il nostro Leone raggiunge i suoi Fratelli tra le sabbie di El Alamein, il motto della scuola di Tarquinia "Ricordati di osare sempre ... " lo ha sempre accompagnato ed è stata la sua filosofia di vita. Cieli Blu Mario!

 Ricordati di Osare Sempre

 

In occasione di una piccola cerimonia di commemorazione, tenuta il 6 settembre 2014 nel cimitero di Rodeano Basso dove riposa il Leone Mario, la famiglia Cominotto ha voluto donare alla sezione Nord Friuli una raccolta di aneddoti che ben raccontano l'avventurosa vita di Mario e della sua Giuditta. Abbiamo avuto il permesso di pubblicarla e siamo onorati di poterla condividere con voi.

La vita del Leone Mario Cominotto, una meravigliosa storia di coraggio e d'amore.

Giuditta e Mario

Febbraio 1934 - Giuditta appena rientrata in Friuli dalla Francia con la famiglia dove erano stati espatriati andò con le amiche scivolare sul ghiaccio in una buca nel cortile della casa in costruzione del nonno Umberto. Anche i ragazzi di Rodeano, piccolo paese friulano, si recavano tutti i giorni in quel cortile e Mario faceva parte del gruppo.
Dopo un pomeriggio di giochi si salutarono tutti e Mario rivolgendosi a Giuditta le chiese “tornitu doman a sglicià?” (Torni domani a scivolare?).
Si rividero tutti i giorni e durante il mese di maggio, in occasione delle benedizioni mariane, continuarono gli incontri fino a che Mario non le diede un bacetto sulla guancia.
Iniziò così la lunga storia d’amore di Mario e Giuditta. La vita a Rodeano era molto dura e le famiglie stentavano a tirare avanti finché Solidea, un’amica molto più grande di Giuditta, le propose di recarsi con lei a Catania dove avrebbe lavorato come cameriera presso una famiglia.


Era l’anno 1937 Giuditta aveva 14 anni, sola raggiunse Solidea in Sicilia con il treno viaggiando dal pomeriggio fino al mattino successivo e finalmente dopo un viaggio lungo e massacrante raggiunse Catania.
Alla stazione si presentò con una Balilla (macchina di lusso dell‘epoca) un certo commendator Biondi con Solidea che la portò a casa sua per iniziare il lavoro.
Non fu poi tanto male, la moglie del commendatore signora Clelia era come una madre vigilava su tutte e quattro le ragazze che lavoravano da loro: Solidea, Bianca ed Ester tutte friulane e la cuoca Mara siciliana. Giuditta era addetta al servizio in tavola, il lavoro era anche piacevole, quando c’erano i ricevimenti raggranellava anche qualche mancia da parte degli invitati, ma mal sopportava la divisa nera con il grembiulino bianco e la crestina in testa, ma purtroppo non poteva esimersi specialmente in occasione dei trasferimenti presso le case al mare di Acireale e Aci Castello e durante le passeggiate con i due bambini della coppia. Il lavoro presso quella famiglia era dettato da una grande considerazione per il personale tanto che per colazione c’era sempre un bel vassoio di paste dolci, torte e la granatina con un grande cesto di fichi d’india, Giuditta non aveva mai assaggiato questo frutto infatti ne mangiò così tanti che fece indigestione, ma poi tutto passò tant’è che in tarda età ne gustò sempre con molto piacere. Inoltre per i pasti principali le ragazze mangiavano sempre prima e le pietanze fatte da Mara erano indistintamente per tutti.

Quando l’amica Solidea non restò più in quella casa e ritornò in Friuli anche Giuditta, mancando il sostegno dell’amica, rientrò a casa, aveva 16 anni.  Sempre Solidea le propose un lavoro a Milano dove rimase per poco per poi andare, sempre al suo seguito, a Bologna in via Parigi 2, dai coniugi Clavenzani come donna tutto fare. Sin dall’inizio si trovò a suo agio in quanto la signora era nuovamente come una seconda mamma anche perché una mattina che la ragazza spolverava il mobilio trovò in un angolo la pietra dell’anello che la signora aveva precedentemente perso quindi Giuditta si meritò giustamente la fiducia incondizionata della signora Maria.
Una mattina di primavera sbattendo lo straccio della polvere dal balcone vide dell’altra parte della strada sotto un portico un giovanotto che la salutò, era Mario, partito dal Friuli con la bicicletta per andare a trovare la sua amata. La ragazza rimase sconcertata e non osò fiatare finché la signora Maria si accorse del suo turbamento e le chiese il motivo, alla risposta di Giuditta la signora volle riceverlo in casa e lo invitò a pranzo squadrandolo ben bene. Lui era un bel vivace tipetto che suscitò nella signora la frase “quel galletto lì non ti sposa”.
Un giorno la signora Maria propose a Giuditta di portarla a teatro per sentire suonare la famosa orchestra Angelini, quindi le disse di accumulare lo stipendio per poter acquistare un vestito con scarpe e borsetta, la ragazza certo non possedeva un abbigliamento adatto per l’occasione.
Ma Giuditta aveva già spedito tutto quanto aveva in possesso alla sua mamma in Friuli per poter contribuire al mantenimento della famiglia (allora così si usava, quante ragazze erano fuori casa, anche se molto giovani per poter inviare a casa qualche lira e pertanto senza denaro, fu costretta a confessare il tutto alla signora Maria la quale apostrofò “ te l’avevo detto che dovevi pensare di più a te stessa” e poi calmandosi provvide a comperare il tutto per l’avvenimento, le fece confezionare un bel vestito a fiorellini su sfondo verde ed acquistò scarpe con tacco (le prime della ragazza) e borsetta di pelle nera.
Arrivò la fatidica serata e con grande entusiasmo la ragazza vide i big di allora, Nilla Pizzi, Luciano Tajoli, Achille Togliani, Carla Boni con Gino Latilla, Natalino Otto, Giorgio Consolini, il Duo Fasano e molti altri.

Lanci Tarquinia

Anno 1941 Mario venne chiamato a fare il militare in fanteria ma quel corpo non si addiceva allo spirito irruente del ragazzo finché un bel giorno in caserma lesse il bando per iscriversi alla scuola di paracadutismo a Viterbo. Non poteva trovare di meglio!
Venne chiamato e trovatolo abile iniziò così il corso di paracadutismo a Viterbo dove incontrò l’amico Alfredo Scolz di San Giorgio di Nogaro nonché la madrina di guerra tale Natali Maria.

Viterbo Paracadutista Militare

Successivamente il corso venne spostato a Tarquinia per le prove di lancio dove conseguì il brevetto di paracadutista. I due amici nel frattempo essendo la migliore gioventù dell’epoca, non mancavano di intrallazzarsi con diverse ragazze del luogo anche perché il mensile si aggirava sulle 1300 lire che per l’epoca erano una fortuna. Come loro molti dopo le esercitazioni avevano un posto fisso in un albergo del luogo dove non mancava il divertimento che cessò quando il tenente Lutman chiese a Mario l’indirizzo della mamma dirottando gran parte del denaro guadagnato, il bello è che la mamma Lise non ha mai voluto toccare il gruzzolo perché era di Mario ma finita la guerra di quel bel gruzzoletto paradossalmente bastò per acquistare un cappotto.

Il corpo si spostò successivamente a Celie Messapico nel sud Italia perché era morfologicamente assomigliante all’isola di Malta, obiettivo militare per la Folgore. Li dette prova di determinazione perché un giorno non trovando più la sua borraccia e ritrovandola nelle mani di un altro commilitone scoppiò un alterco tra i due con una borracciata in testa al presunto ladro, che era un sergente, meritandosi dal tenente Cimenti la punizione di legatura ad un ulivo nelle ore più calde della giornata. Dopo un po’ di ore passò di lì il suo capitano Cristofori che gli chiese perché fosse legato “Ho dato un colpo in testa con la borraccia ad un tale che me l’aveva rubata” rispose Mario che aveva la certezza della sua proprietà, in quanto aveva siglato la medesima con il suo numero di matricola. Il comandante lo liberò dicendo “lo rifai ancora?” – “Se mi ruba ancora la borraccia lo rifaccio” rispose Mario, il comandante con due calci nel sedere lo rimandò al suo battaglione.
L’indomani mattina vennero tutti imbarcati su di un aereo per essere paracadutati per occupare Cefalonia perché nei giorni seguenti avrebbero dovuto sbarcare le truppe di guerra italiane. Occupata Cefalonia la divisione Folgore venne fatta tornare alla base in Puglia.

Una settimana dopo esattamente il 16 luglio 1942 i paracadutisti della Folgore furono nuovamente imbarcati per destinazione isola di Malta, niente di tutto ciò, furono portati in Africa settentrionale ad El Alamein a circa 100 Km a ovest di Alessandria d’Egitto, dove posarono i loro paracadute per non riprenderli mai più. Furono destinati nella 4° compagnia 12mo battaglione posizionato nelle depressioni di El Qattara bassofondo di sabbia situato a circa 40 metri sotto il livello del mare, composto di circa novanta uomini.

Buche El Alamein

Stavano in buche scavate nel terreno in una zona di altopiani pietrosi e sabbiosi. Dentro le buche di giorno un caldo torrido e gelo per la notte, per ripararsi usavano un telo da tenda che di notte serviva per raccogliere la brina notturna che al mattino usavano per fare la barba. a disposizione avevano un litro di acqua per bere che doveva servire per tutto il giorno.
Gli venne dato l’incarico di staffetta portaordini pertanto correva su e giù per tutta la dislocazione della divisione Folgore lungo un fronte di 15 Km nei pressi della depressione di El Qattara zona intransitabile per i veicoli trattandosi del fondo di un antico mare interno prosciugatosi e composto da sabbie mobili e zone paludose salate.
Faceva parte del battaglione anche un certo Giovanni Zucchiatti detto “Iaio” proveniente proprio dal suo paese e pertanto si instaurò un’amicizia dovuta anche al fatto che il suddetto era esattamente come un “rambo” fornito di bombe, mitragliatore, cartucce e pugnale con un corpo massiccio e una barba da leone.

Inoltre, visto che i loro rifornimenti erano insufficienti, usciva di notte attraversando i campi minati per rubare ciò che trovava agli inglesi. Dalla prima linea si sentivano colpi di fucile e raffiche di mitra allora esclamavano “è il Iaio che fa la spesa”. Furiose furono le tre battaglie, molti furono i morti fino al 6 novembre 1942 con l’ultima battaglia il quarto battaglione comandato dal colonnello Ruspoli della quale faceva parte Mario gli inglesi non riuscirono a sfondare finché i pochi ragazzi rimasti della divisione Folgore hanno dovuto arrendersi per mancanza di armi viveri ed acqua meritandosi l’onore delle armi da parte degli inglesi e successivamente la medaglia d’oro al valor militare. Pur di non farsi prendere prigionieri Mario e l’amico Giovanni presero la via del deserto ripiegando dall’Egitto verso la Tunisia senza armi e senza viveri finché arrivarono dove c’era una segnalazione con il nome della Folgore, senza esitazioni presero quella direzione.
Arrivarono nei pressi della strada litoranea, unica strada che unisce tutt’ora l’Egitto con la Tunisia, e Giovanni trovò da racimolare una ciotola di riso, ma mentre lui si attardò Mario incrociò un camion saltò su e perse di vista l’amico. Viaggiò un po’ sul mezzo poi rimasti senza carburante dovette scendere e appiedato percorse ancora parecchi chilometri e poi stanco, assetato e affamato si sedette su di un muretto a riposare. Dopo un po’ di tempo passò un altro mezzo guidato da una famiglia di coloni italiani che ritornavano in patria e sentendolo che era italiano lo caricarono su.

Verso sera la famiglia si fermò per mangiare qualche cosa e Mario si allontanò in disparte per non disturbare ma il capo carovana gli chiese “quanto tempo è che non mangi?” rispose “non lo so” e gli diede qualcosa da mangiare. Rimase ancora un po’ con loro poi ad un bivio li salutò per andare verso la direzione della Folgore.
Dopo aver percorso circa duemila chilometri a piedi raggiunse Sfax in Tunisia dove venne formato il 285° reggimento Folgore soprannominato Battaglione fantasma di circa cinquecento paracadutisti a cui si unirono altri reparti dell’asse per combattere l’ultima battaglia di Takrouna su un colle tunisino posta in posizione strategica. Ritrovò anche l’amico Zucchiatti il quale lo apostrofò “mi hai abbandonato” e ripresero le battaglie insieme. Dopo varie battaglie contro neozelandesi e inglesi arrivò la sera dell’8 marzo 1943 e Mario fu chiamato in prima linea per fronteggiare il nemico e l’amico Giovanni gli disse: “vado io al tuo posto perché la pallottola che mi deve colpire non è ancora stata fabbricata”. Mario non poteva esimersi e pertanto andò in prima linea dentro una buca per combattere il nemico.
Quella notte pioveva allora Mario invece di entrare in buca per non affondare nell’acqua si pose al di sopra della medesima per poter sparare al nemico ma una scheggia gli troncò di netto il piede destro.

Quando i soccorsi arrivarono per portarlo nell’ospedale da campo furono necessarie molte ore perché ad ogni colpo di cannone i portantini posavano per terra la lettiga per poi ritornare alla fine di ogni cannonata. Questo per molte volte fin che fu portato finalmente a destinazione.
Medicatolo sommariamente fu destinato a tornare in patria e quindi essere caricato su di una nave ospedaliera con destinazione porto di Napoli se non che la nave era già completa di molti feriti, per lui non c’era più posto, ma a quel punto un sergente che era già imbarcato gli lasciò il suo posto vedendo che il soldato era più grave di lui.
Si seppe poi che la nave successiva, dove il sergente sarà stato imbarcato, è stata bombardata.

Ospedale NapoliSi chiudeva così l’epopea della “folgore” e dei suoi uomini in terra d’Africa. Dell’amico Giovanni Zucchiatti riuscì a sapere che morì in Tunisia colpito al ventre da una granata in una successiva battaglia.
La battaglia di El Alamein si svolse per gli italo-tedeschi in condizioni nettamente svantaggiose, infatti gli inglesi, provvisti di abbondanti e moderni armamenti, impostarono la loro grande battaglia sulla superiorità dei mezzi, ma comunque i reggimenti della “Folgore” si meritarono medaglie d’oro con la seguente motivazione:


“Reggimento paracadutisti della gloriosa divisione “Folgore” in unione alle aliquote divisionali ad esso assegnate, per tre mesi, senza soste, si prodigò valorosamente in numerose azioni offensive e difensive, stroncando sempre l’impetuosa avanzata del nemico enormemente superiore per numero e per mezzi. Nell’epica battaglia di El Alamein, stremato per le perdite subite, cessato ogni rifornimento di acqua, viveri e munizioni, con la fede che solo il più sublime amor di Patria può generare, respingeva sdegnosamente, al grido di “Folgore” ripetuti inviti alla resa, dimostrando in tal modo che la superiorità dei mezzi poteva soverchiare i Paracadutisti d’Italia, piegarli mai. Attraverso innumerevoli episodi d’eroismo collettivi ed individuali, protraeva la resistenza fino a totale esaurimento di ogni mezzo di lotta imponendosi al rispetto ed ammirazione dello stesso nemico scrivendo così una delle pagine più fulgide di valore per l’Esercito Italiano”.


Giuditta nel frattempo aveva ricevuto l’invito dei suoi padrini che abitavano a Roma di recarsi a lavorare presso di loro per accudire i loro due bambini ed insegnare a loro il francese che lei conosceva molto bene avendo frequentato scuola francese. Era già infatti a Roma quando ricevette una telefonata dalla nave ospedaliera che le comunicavano l’arrivo al porto di Napoli del fidanzato e che avrebbe ricevuto i biglietti del treno e le istruzioni per recarsi all’ospedale XXIII Marzo di Napoli.
Nel frattempo Mario aveva fatto spedire una cartolina ai genitori dicendo “rientro in Italia con la nave ospedaliera ma ho lasciato la mia gamba destra in mano agli inglesi”.
Per non lasciarla andare sola Giuditta fu accompagnata dal cugino Duilio, anche lui a Roma. All’arrivo in ospedale presa da un affanno, non sapendo l’entità delle ferite, chiese al cugino di entrare prima lui per poi chiamarla successivamente. Duilio entrò ma stette troppo tempo, lei fremeva, allora spiò nella fessura della porta finché Mario la vide e la chiamò con la mano.
Entrò, lo vide, aveva il viso lavato solo sommariamente, il resto era impregnato di sporco, lui sollevò il lenzuolo per fare conoscere l’entità della sua menomazione e le disse: “non sono più quello di prima” ma lei rispose: “per me sei sempre tu”. Si dilungarono nelle chiacchiere finché per rientrare a Roma persero il loro treno e dovettero prenderne uno successivo ma per fortuna perché quel trenofu bombardato.

Mario alla notizia dell’avvenimento e alla vista dei feriti che arrivavano all’ospedale si sentì morire e continuò a chiedere a chiunque se fosse stata portata una ragazza dai capelli rossi.
Per fortuna tutto finì bene, ma la gamba venne amputata sotto il ginocchio e stette in quell’ospedale circa due mesi ma la ferita non si rimarginava, la cancrena continuava ad avanzare, si aggravò fino a che venne depositato in una camera dove mettevano coloro senza speranza.
Per fortuna un suo amico friulano pensò di passarlo a trovare ma non trovandolo nel reparto chiese dove fosse e scoprendolo andò a cercarlo. Lo vide da una finestra lo chiamò e Mario gli chiese se aveva una sigaretta, lui gliela gettò ma andò a finire sotto il suo letto. Quando entrarono i dottori e sentirono l’odore di fumo chiesero “chi ha fumato?” nessuno rispose ma vedendo la sigaretta sotto il letto di Mario ordinarono immediatamente di riportarlo in reparto strappandolo alla morte.
Durante la sua permanenza in quell’ospedale insieme ad un amico, anche lui ferito ad una gamba, fecero la conoscenza dalle finestre di fronte alla loro camera di due ragazze anche loro ferite e si misero d’accordo di trovarsi tutti e quattro nel giardino sottostante. Ridendo e scherzando e mangiando le ciliegie che i due ragazzi avevano comperato le ore passarono veloci e non si accorsero che era moltReduce El Alameino tardi fino a che le suore dei due reparti incominciarono a cercarli ma trovandoli e rimproverandoli malamente decisero che i due giovani erano lo scandalo del reparto.

L’indomani tutti e due vennero accompagnati alla stazione per mandarli all’ospedale militare Principe di Piemonte di Roma.
A Roma le condizioni della gamba di Mario non migliorarono e fu necessario rioperarlo tagliando sopra il ginocchio e nuovamente un’altra volta lasciandogli un piccolo monconcino.
Passarono così cinque mesi e finalmente incominciò a migliore gradualmente anche perché assistito dal suo amore, che oramai poteva vederlo tre volte alla settima.
Durante quella permanenza riceveva molte visite da tante ragazze del suo paese che lavoravano a Roma, il primario del reparto gli domandò chi fossero e Mario rispose “sono tutte cugine” e di rimando il medico “che famiglia numerosa!” decise comunque che quel viavai doveva cessare pertanto diede il permesso di visita solo alla fidanzata. Un giorno la caposala suora Rosa gli disse “bocia se vuoi guarire devi mangiare il radicchio della tua mamma” e così fu accompagnato con il treno da due militari che lo consegnarono al podestà del suo paese.
Tornato a casa si sentiva inferiore ai suoi amici e si rinchiudeva in se stesso ma la madre Lise, donna molto energica ed intelligente lo spronò dicendo “anche senza la gamba non sei diverso dagli altri, prendi la bicicletta e vai a trovare i tuoi amici” iniziò così la sua ripresa fisica e morale. Circa un anno dopo il suo rientro dall’Africa Mario e Giuditta si sposarono il 10 dicembre 1944 nella chiesa di Rodeano Basso a cui seguì un viaggio di nozze memorabile. All’epoca esisteva un tram che collegava San Daniele a Udine, presero quindi il tram a Rivotta, ma dovettero scendere a Martignacco perché a Udine era impossibile arrivarci in quanto gli aerei nemici tra cui senz’altro il famoso Pippo mitragliavano la zona.
A Martignacco entrarono nel bar Delser dove consumarono un caffelatte con pasticcino che era tutto ciò che potevano offrirsi perché non possedevano il becco di un quattrino.

Il 18 marzo 1945 nacque il loro figlio Franco, il giorno dopo arrivarono a festeggiare il nascituro tutti gli amici di Mario, Erminio, Bin, Maggiorino e Fiori ai quali con grande serietà disse “se questo figlio dovrà andare in guerra, giuro che lo sopprimo prima io,” (frase memorabile dettata senz’altro dall’enorme sofferenza patita in guerra).
Venne assunto nel Municipio di Rive d’Arcano come capo ufficio alla annonaria, ente istituito dal fascismo per razionare i generi alimentari al popolo e censire il bestiame dei contadini al fine di stabilire quanto grano i medesimi dovevano consegnare. Rimase li per circa tre anni dopodiché il suo spirito vagabondo gli impose di provare nuove esperienze e senza dire niente ai familiari partì per Torino dove c’erano alcune zie su cui faceva affidamento e dove fu assunto come operaio nella fabbrica automobili Lancia, Giuditta ed i genitori non sapevano dove fosse andato a finire finché un giorno arrivò una lettera dove chiedeva perdono del suo silenzio e pregava la moglie di raggiungerlo con il figlio.
Giuditta era molto perplessa e chiese consiglio ai suoceri Lise e Ferro i quali saggiamente e conoscendo molto bene il loro figlio più scapestrato le consigliarono di provare a veder se era vero ciò che Mario aveva scritto e che eventualmente la loro porta di casa per lei ed il figlio era sempre aperta, Nel novembre 1949 Giuditta e Franco presero il tram a Rivotta per raggiungere Udine con destinazione Torino.
Mario non ha mai fatto pesare a nessuno la sua menomazione e con la sua grande volontà e grinta riuscì a raggiungere nello stabilimento della Lancia di Chivasso (in provincia di Torino) la qualifica di capo reparto impianto cavi dove gli venne data in dotazione una bicicletta per spostarsi da un reparto all’altro.

VespaPer recarsi al lavoro doveva spostarsi in tram quattro volte al giorno, gli serviva un mezzo per il trasporto, ma le possibilità economiche non erano sufficienti, allora visto che fumava, pensò di smettere per raggranellare ogni giorno il costo delle sigarette in un salvadanaio. Con quanto risparmiato acquistò una vespa che servì anche per i viaggi in Friuli in Belgio dal fratello Rino ed in Francia dagli suoceri.  
Passarono così gli anni e le loro finanze migliorarono gradatamente merito anche di Giuditta che con il suo lavoro collaborava al benessere della famiglia fino a che un cugino di Torino vende al sua Fiat 500 di circa sei mesi, Mario ingolosito dalla proposta, intende acquistarla.
C’è però un grande problema, l’auto così com’è non può essere, per la sua menomazione, da lui guidata. La mente di Mario è già in azione, rubando le ore al sonno, escogita di modificare la macchina, apportando un secondo volante con il quale, tirandolo verso il volante originale dell’auto, azionava una leva che attraversava sotto tutta la macchina e muoveva la frizione.
Si mette in opera coadiuvandosi con amici e conoscenti che gli costruirono i vari pezzi necessari, riesce ad assemblare il tutto e nelle ore di sabato e domenica che era a casa dal lavoro, aiutato dal figlio adolescente che doveva passargli il necessario per il lavoro, coricato sotto l’auto riuscì a far funzionare la benedetta frizione.
Il suo problema poi era che temeva che la Motorizzazione, che doveva dare il benestare, non omologasse la modifica, invece quando venne il giorno dell’esame per la patente e usando necessariamente la sua 500, l’ingegnere incaricato all’esame non solo lo promosse ma gli chiese chi aveva ideato tutto ciò complimentandosi con lui.
Morale della favola, dopo poco tempo venne messa sul mercato un auto elaborata con la frizione ideata da lui ma costruita da una famosa casa automobilistica, a Mario non gliene importava niente, aveva avuto il piacere di portare a termine la sua opera. Di tutto ciò che Mario aveva combattuto e patito non fece mai trasparire nulla, non amava raccontare neanche spinto da domande rispondeva elencando solo situazioni comico-grottesche e null’altro. Infatti molti anni dopo in una trasmissione televisiva di Enzo Tortora “Portobello” si presentarono due signore che cercavano proprio due ragazzi che erano nell’ospedale di Napoli anch’esse ricoverate con i quali avevano mangiato ciliegie nel cortile del medesimo.
Mario si riconobbe ma non volle assolutamente incontrarla nonostante le pressioni della famiglia che non compresero la sua reticenza e il suo non voler più ricordare quei brutti momenti passati.
Il suo carattere molto impulsivo a volte la sua famiglia stentava a comprendere.

Rimasero a Torino fino al raggiungimento della pensione con il ritorno nel loro Friuli dove ricoprì la carica di presidente dei combattenti del Comune di Rive d’Arcano ed anche fu segretario dei mutilati ed invalidi di San Daniele del Friuli. In occasione del compimento di novant’anni di Mario, d’accordo con l’ex sindaco del paese Giovanni Melchior, il figlio decise di inserire sul quotidiano Il Messaggero Veneto la sua storia facendolo così conoscere ai paracadutisti della sezione ANPDI Nord Friuli. Seguì quindi un bel festeggiamento con la consegna della spilla dei “Leoni della Folgore” insieme ad una bella compagnia di paracadutisti ed in quella occasione il Mario si commosse.

La storia d’amore continuò ancora per tanti anni fino al 9 luglio 2012 dove dal cielo segue sempre la sua Giuditta.

In seguito il figlio Franco in occasione del settantesimo della battaglia, nel settembre 2012, si recò in pellegrinaggio organizzato dall'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia, nei campi di guerra dove finalmente riuscì a capire la ritrosia e l’impulsività del padre dovuta all’enorme sofferenza subita ed ai farmaci che somministravano ai combattenti prima di ogni battaglia. Infatti tutte le sere il direttore della rivista “Folgore” illustrava e spiegava le varie fasi delle battaglie facendo capire il perché del silenzio e la modifica del carattere di questi ragazzi che a vent’anni patirono la sete, la fame e la paura.

I paracadutisti intervennero numerosi alle esequie scortandolo e onorandolo facendo commuovere tutti i partecipanti alla lettura della “Preghiera del Paracadutista” seguita da tonanti “Parà Folgore!”.

In onore e memoria di Mario, la famiglia Cominotto.

 

Divisione Folgore IV Battaglione

 

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